mercoledì 27 febbraio 2013

Montagna: sos agricoltura.


Pietro Sabbioni

L’assessore all’ambiente di Sasso Marconi Pier Paolo Lanzarini, in occasione di una discussione consiliare, ha avuto modo di riferire sulle aziende agricole che registrano, nei comuni dell’Appennino, una preoccupante ‘moria’ ed ha elencato i dati:  nel comune di Gaggio Montano, ad esempio, negli ultimi 10 anni il numero delle imprese agricole si è pressoché dimezzato.  
Il dato ha piuttosto sorpreso, anche perché con la crisi dell’industria e dell’artigianato si è parlato di una ripresa del settore agricolo  cui si sarebbero rivolti numerosi giovani.

Abbiamo incontrato il referente del settore lavoro-impresa  della Confederazione Italiana agricoltori di Bologna (CIA) Pietro Sabbini e gli abbiamo chiesto conferma sui dati di chiusura di impresa.

“Purtroppo è così. Ciò è dovuto principalmente all’età elevata degli operatori e  al fatto che sono  purtroppo difficoltosi  il ricambio generazionale e i nuovi inserimenti nel settore. Questo per diversi motivi: il principale è dovuto alle  difficoltà di ricavare redditi soddisfacenti dall’attività agricola specialmente nelle zone montane perché si produce di meno a costi più elevati.  Inoltre il boom industriale degli anni ’70 ha attirato i figli degli agricoltori verso altri settori che assicuravano meno sacrifici e maggiori entrate. Infine è  impossibile iniziare l’attività agricola se non si è in possesso di un consistente capitale iniziale e di un bagaglio operativo specifico del settore che  si acquisisce  solamente con l’esperienza ‘sul campo’. I tempi per apprenderlo sono lunghi”.

Se tutto questo è vero dobbiamo rassegnarci a perdere l’agricoltura di montagna ?

“Il problema è reale ed è più ampio di quello che generalmente si crede. L’agricoltore oltre  all’utilizzo agricolo  dei campi, assicura la salvaguardia, il presidio e la tutela dell’ambiente montano estremamente fragile e che non può essere abbandonato. Per questo motivo diventa indispensabile che il tema dell’abbandono dell’agricoltura in montagna venga preso in seria considerazione da tutto il sistema politico-economico. Se il territorio non può essere fruibile perché abbandonato ne risente il turismo, il commercio e l’intera economia della montagna”.

E’ insistente da parte degli agricoltori la lamentela per l’eccessiva presenza di ungulati e per il carico burocratico scoraggiante. Cosa ne dice?

“Sono pienamente d’accordo. A mio parere occorre trasformare il problema degli ungulati in una opportunità per l’impresa agricola. L’attuale regolamentazione della gestione faunistica venatoria  non va. Deve essere modificata radicalmente. Gli ungulati nobili, specialmente il cervo, sono considerati dai cacciatori i migliori d’Europa e  richiamano molti di loro disposti a compensarne il  valore. Questi introiti sono già una cospicua realtà destinata ad aumentare. Risorsa però non gestita dai montanari e non utilizzata in montagna. Le risorse della montagna debbono essere reinvestite in montagna. La burocrazia poi è un’altra palla al piede che comunque non appesantisce solo l’agricoltura”. 

Sto parlando con un operatore che la diagnosi la conosce molto bene. Avete valutato quale è la cura ?

“Diventa indispensabile valorizzare i prodotti tipici di nicchia: marroni, ciliegie, patate, piccoli frutti di bosco, piccola zootecnia come capre e pecore , con punti organizzativi di trasformazione associata che esalti qualità e salubrità del prodotto montano. Incrementare inoltre la formazione delle filiere che consentano agli operatori locali di essere protagonisti  dalla coltivazione del prodotto base alla commercializzazione,  tramite accordi con il settore commerciale e turistico locali. In questo campo sono un punto d’eccellenza i numerosi agriturismi già presenti.  Si sta concludendo l’iter per la formazione del consorzio ‘carni dell’Appennino bolognese’ tra allevatori e macellai locali che metterà a disposizione dei consumatori la carne di prima qualità che la montagna garantisce. Un esempio da seguire, l’eccellenza rappresentata dalla realtà operativa degli allevatori associati nei caseifici che producono un parmigiano reggiano di grande qualità ma che non ha ancora le distinzione che meriterebbe e che è necessario per distinguerlo dal prodotto di pianura”.

Vuole aggiungere qualcos’altro?

“ Mi preme fare un altro esempio emblematico di ciò che sta succedendo e che si deve superare. C’è in montagna un’altra importante risorsa quella della coltivazione del bosco. Norme oltremodo vincolanti, che potevano avere una ragione 30 anni fa quando si tagliava in modo indiscriminato, oggi si stanno rivelando dannose, poiché impediscono di operare. Faccio un esempio, il castagno dopo 24 anni dall’ultimo taglio, non può più essere rinnovato se non con l’avvio ad alto fusto. Ma tale operazione lo porta diritto all’essicazione e  alla morte. E’ necessario quindi rivedere e consentire di operare al fine di conservare il bosco e raccogliere il suo frutto.

1 commento:

Anonimo ha detto...



Sarà una gara dura voler risolvere tutto in una volta lo scempio che è stato fatto dai politici nazionali, ed amministratori locali, con i vari delegati, per un ventennio, senza porvi mai un rimedio. Dovete portare pazienza, roma non è stata costruita in una notte sola e fare pulizia se si vorrà farla, ci vorrà tempo e pazienza.